#winestories_

LA BEFANA VIEN DI NOTTE

Quant’era bello da ragazzini svegliarsi il 6 gennaio sapendo che per la settimana successiva ci saremmo nutriti esclusivamente a caramelle e dolciumi?
Il dubbio che questa festività l’abbia inventata la lobby dei dentisti, in effetti, viene.

Qui a CantinaSocial siamo un po’ sognatori e un po’ ragazzini. Visto che ci dispiace che le belle tradizioni dolciarie cadano con la scusa della maturità abbiamo pensato di rivederle in versione adulta.

E come combinare la passione per i dolci e quella per il vino? La risposta è facile: con i vini dolci, naturalmente.

Il mondo del vino pullula di vini da accompagnare ai dolci o da meditazione. Dai Riesling della Mosella al Madeira Portoghese, passando per il Mirin Giapponese (anche se in questo caso il concetto di vino è relativo).

Ovviamente in Italia non siamo da meno. Basti pensare che già i Romani erano soliti allungare il loro vino con il miele per dolcificarlo.

La tradizione di vini dolci nello stivale è millenaria. Questi si producono seguendo quattro strade: ci sono i vini dolci prodotti bloccando le fermentazioni, i vini passiti, i vini muffati e i liquorosi, ottenuti aggiungendo alcool al vino. Ovviamente i vini sono numerosissimi e variano di regione in regione, per coprirli tutti servirebbe un’enciclopedia; quindi mi sono limitato a scegliere quelli un po’ meno noti e, a mio parere, più interessanti.

SANGUE DI GIUDA

Questo vino si può produrre solo nell’Oltrepò Pavese, in provincia di Pavia. I vitigni principali utilizzati sono Barbera, Croatina, Uva Rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot Nero, si può trovare in versione ferma, frizzante e spumante.
Il colore è rosso rubino intenso, al naso risulta molto profumato, quasi speziato, e in bocca è un vino corposo e dolce (il residuo zuccherino minimo è di 80 g/l) a volte si può percepire un lieve tannino.
Si tratta di un vino da dolce, perciò l’abbinamento ideale è con i dolci a base di frutta, ma risulta interessante anche abbinato a taglieri di formaggi saporiti.

Il nome di questo vino deriva da una leggenda. Pare che Giuda, una volta trapassato, si fosse pentito del torto compiuto verso Gesù ed egli, in segno di perdono, lo avesse fatto resuscitare proprio nell’Oltrepò. Qui, per scampare all’ira dei contadini della zona, Giuda curò le loro viti da una malattia e questi in segno di gratitudine gli dedicarono il vino dolce prodotto dalle uve risanate.

VINSANTO

Questo vino è tipico della tradizione di Umbria e Toscana e si produce con uve Trebbiano, Malvasia e Sangiovese (ma in questo caso si parla di occhio di pernice).
Si tratta di un vino ottenuto da grappoli sottoposti a un fortissimo appassimento (da due a sei mesi, con una perdita del 50% di acqua) su stuoie o appesi a ganci, cui segue un affinamento in legno. Tradizionalmente si usavano i caratelli, botti in legno di piccole dimensioni, posti nel sottotetto perché il forte sbalzo termico aiutasse la complessità e la qualità del vino stesso. Tradizionalmente si aggiungeva anche la cosiddetta madre, ovvero una pasta fermentativa ottenuta dalle fecce degli anni precedenti cariche di lieviti e batteri.
La nota più caratteristica del Vinsanto è senza dubbio l’ossidazione, che lascia spazio alle note di frutta dolce come i fichi secchi e l’uva passa.
Non mi dilungo nell’abbinamento cibo-vino perché, suvvia, cantucci e vinsanto dice niente?

Interessante è però l’origine del nome. Sono diverse le leggende che spiegano come mai il Vinsanti si chiami così. Secondo i senesi nasce nel 1300 da un francescano che curava gli appestati con il vino dell’omelia, dimostrando qualità terapeutiche e miracolose degne dell’appellativo Santo.
Secondo i fiorentini invece risale a metà del 1400 da Giovanni Bessarione che bevendo un vino di allora, detto vin pretto, lo definì come “di Xantos” ovvero un vino passito greco. I suoi commensali, forse annebbiati, capirono male e sentirono “Santo”. Assunsero quindi che il cardinale avesse scoperto nel vino qualità salvifiche.
Aldilà della leggenda la teoria più probabile è semplicemente da associare all’uso che se ne faceva durante le funzioni religiose.

CARTIZZE

L’unico vino che nasce ed esiste solo nella versione spumante.
Cartizze è considerato il grand cru della zona del Prosecco. Sulla collina di Valdobbiadene si trova il cosiddetto Pentagono d’oro, un’area di circa un chilometro quadrato, interamente vitata di poco più di 100 ettari, in cui le particolari condizioni permettono di creare uno fra i vini più interessanti della zona del prosecco.
Qui le uve Glera, complici un’ottimale esposizione a sud, un terreno estremamente minerale di origine marina, si esprimono al meglio. Le uve vengono raccolte in modo tale da preservare un adeguato contenuto zuccherino ed è grazie alla brezza costante che soffia nell’area che vengono arginati gli attacchi da parte di muffe.


Spumantizzate poi secondo il metodo Martinotti (seconda fermentazione in autoclave), si ottiene un vino brillante e fresco, con profumi fruttati, dolci e agrumati.
Nella zona del Prosecco Docg, Valdo ha la sua linea di Cartizze chiamata Viviana in onore della moglie del fondatore. Prodotto mediante Charmat Lungo (ovvero con una durata di almeno 5 mesi) restituisce un vino contemporaneamente deciso e amabile.
Dal punto di vista dell’abbinamento loro sono piuttosto conservativi e lo suggeriscono accompagnato a frutta e dolci delicati. A me piacciono abbinamenti più gagliardi per cui ti consiglio di provarlo all’aperitivo accompagnato dalla soppressata e qualche formaggio moderatamente saporito, ma anche con il paté o il foie gras diventa un’associazione interessante.

Prova e fammi sapere!

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