Recentemente abbiamo assaggiato due bottiglie di un produttore dell’Alsazia che ci hanno davvero colpito. La cantina di Justin Boxler produce vino dal 1672 vicino a Colmar, poco distante dal confine tedesco.
Possiedono circa 80 appezzamenti diffusi in 5 diversi comuni. L’Alsazia è caratterizzata da suoli molto differenti. Il fatto di avere le vigne su terreni diversi, che variano dal granito vulcanico all’argilla, dal limo di origine marina alla marna, permette a questi vignaioli di sperimentare. Unendo le uve di diverse parcelle creano dei vini unici e originali.
Dopo un processo di conversione durato 13 anni, che ha portato la cantina ad una coltivazione sempre più biologica e rispettosa dell’ambiente, l’annata del 2022 sarà la prima ad essere interamente certificata AB (il corrispettivo francese del biologico).
Dei vini di Boxler, il Riesling Lieu-Dit Pfoeller 2021 e il Riesling Grand Cru Brand del 2018, sono particolarmente interessanti e, pur essendo vini bianchi di media struttura, si prestano molto bene ai piatti tipici di fine autunno.
Ecco le ricette dei piatti che noi abbiniamo a queste bottiglie nella nostra bottega al Mercato Centrale di Torino
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RIESLING LIEU-DIT PFOELLER 2021

Questa bottiglia di Riesling appartiene alla linea Origins, che mira a valorizzare le caratteristiche uniche del vitigno e del territorio, impattando il meno possibile sul prodotto finale. Troviamo un blend di riesling giovanissimo, proveniente da appezzamenti con terreni diversi, soprattutto calcarei, che esaltano le peculiarità del vitigno.
Dopo la pressatura, la fermentazione avviene in maniera spontanea in botti secolari, in cui il vino ha un breve periodo di affinamento sui lieviti.
Al naso la bottiglia apre con un agrume molto intenso, la spiccata acidità fa da filo conduttore tra il naso e il palato, una via di mezzo tra il profumo di un limone fresco, ma con un fondo più amaricante che ricorda il pompelmo. Subito dopo fanno capolino gli accenni floreali: inizialmente si avverte il gelsomino che lascia rapidamente spazio al profumo della rosa antica, più delicato ed elegante.
Il terreno calcareo su cui è coltivata la vite si percepisce nelle note minerali di gesso che si avvertono in sottofondo.
Segue il gusto, in cui immediatamente ritroviamo l’elevata acidità, molto accentuata e rinfrescante, cui seguono un corpo medio accompagnato da una lunga persistenza. Il grado alcolico, seppur elevato (oltre i 13°), è perfettamente armonizzato.
Nel complesso si tratta di un prodotto molto interessante, forse lievemente sbilanciato verso le durezze, dovute a questa acidità preponderante e non perfettamente armonizzate nel vino, ma ideali per sposarsi con la pancia di maiale marinata.
JAPANESE PORK BELLY
Prendi un pezzo di pancia di maiale e cospargi, sulla parte della cotenna, un mix di zenzero, carota e cipolla grattugiati, aggiungendo un filo di olio e un po’ di pepe. Immergi interamente la pancia marinata in una miscela di salsa di soia e mirin. Lascia riposare in frigo per almeno 12 ore, coperta con della pellicola.
Una volta completata la marinatura, cuoci la pancia in forno preriscaldato e ventilato a 120° per circa 4 ore, mantenendo sempre la parte grassa rivolta verso l’alto.
Nel frattempo prepara una purea di patate dolci, cuocendo a 180° un paio di grosse patate con la buccia. Quando cotte, spelale ancora calde e, con l’aiuto di un frullatore a immersione, ottieni una purea omogenea unendo sale, un filo d’olio e noce moscata.
Una volta cotti tutti gli ingredienti, spalma la purea su un crostone di tuo gusto (noi usiamo una focaccia bianca), taglia a fette sottili la pancia marinata e appoggiale sul crostone.
Per concludere crea una salsa aromatizzata aggiungendo paprika abbondante e soia a della maionese, che userai per guarnire con della granella di nocciole.

RIESLING GRAND CRU BRAND 2018

Allevato sui terreni granitici delle colline sopra Turckheim, questo grand cru proviene da un unico appezzamento, il “Kirchtal”, piantato nel 1982. È evidente l’intento di preservare ed esaltare le peculiarità apportate dal terroir della zona, sia dal terreno granitico che dal microclima, senza stressare le uve o snaturarle. Infatti dopo la raccolta manuale dei grappoli migliori, segue una pressatura lenta e soffice. Anche in questo caso la fermentazione avviene spontaneamente in botti secolari, ma l’affinamento sui lieviti dura oltre nove mesi, così da dare profumo e rotondità al vino.
Appena aperta questa bottiglia risulta evidente che si tratta di un prodotto ben diverso dal precedente. L’acidità spiccata si ritrova qui in una forma molto più armonica e gentile, l’agrume è più sobrio e delicato, seguito da note più dolciastre e lievemente ossidative che ricordano la mela cotogna. Si percepisce anche un fondo balsamico e penetrante che rimanda alle note più canforate.
Anche il gusto è completamente diverso, complice un residuo zuccherino più elevato. La spiccata acidità è perfettamente bilanciata da note più tendenti al dolce. Subito questo vino si apre e ci fa ritrovare le note agrumate, accompagnate da una struttura elegante e un’ottima persistenza.
A differenza del riesling più giovane, che ha bisogno di essere accompagnato da qualche piatto per essere pienamente apprezzato, questo grand cru del 2018 è un vino che si può definire “a sé stante”. Perfettamente armonico si può apprezzare anche bevuto da solo, ma è impareggiabile accompagnato dal tonno di coniglio.
TONNO DI CONIGLIO E LA SUA SALSA
È doveroso fare una piccola introduzione a questo piatto. Leggenda vuole che la ricetta nasca da un gruppo di frati di Avigliana, nel torinese, che cercando di aggirare il divieto quaresimale al consumo di carne, decisero di immergere sott’olio, come si fa con il tonno, conigli e galline, così da spacciarli per pesce e mangiarli senza commettere peccato.
Per quanto sarebbe romantico e divertente immaginare un manipolo di frati trafficanti, è molto più probabile che la ricetta nasca nella zona del Monferrato e dell’alta Val di Tanaro e derivi dalla necessità di preservare a lungo la carne più abbondante nelle campagne, ovvero quella di coniglio. I contadini conservavano all’interno delle burnie (i contenitori di vetro per le conserve qui si chiamano così) le carni, e le tenevano sott’olio per arginarne il deterioramento. Sempre nell’ottica contadina, questa è una di quelle ricette molto facili e di cui non si spreca nemmeno un pezzetto.
Per preparare il tonno di coniglio, inizia privandolo della testa e delle interiora (che conserviamo).
Fai rosolare il coniglio intero in una pentola alta cosparsa d’olio e durante la cottura aggiungi una cipolla tagliata in quattro, una carota, un sedano e una manciata di sale grosso.
Quando entrambi i lati saranno ben rosolati, riempi la pentola di acqua gelata o direttamente ghiaccio, chiudi il coperchio, e mantieni la fiamma alta fino al completo scioglimento. Quando tutto il ghiaccio sarà svanito, abbassa la fiamma al minimo e fai cuocere per circa 4 ore, dopodiché lascia raffreddare il coniglio nel suo brodo per tutta la notte. Il giorno dopo, sporcati le mani e sfilaccia la carne il più possibile (sarà un’operazione abbastanza facile).
Cospargi il coniglio sfilacciato con olio, aggiungi due spicchi d’aglio, chiodi di garofano e lascia riposare per una notte. A parte unisci le interiora che hai lasciato da parte, ad un trito di carote, cipolle e sedano e fai rosolare fino a doratura. Aggiungi della panna da cucina, fai cuocere una decina di minuti e frulla il tutto, prima di lasciare raffreddare la salsa ottenuta.
Per servirla usa una focaccia, cospargila con una porzione abbondante di sfilacci e aggiungi la salsa. Per un effetto ancora più scenografico guarnisci con pepe rosa in grani e foglie di prezzemolo.





